Rigotti, tanta voglia di viaggiare, 23 anni appena, Ginevra Rigotti ci parla dei suoi viaggi, delle sue esperienze e del suo desiderio di conoscere genti e paesi diversi
Tanta voglia di viaggiare, di conoscere nuove culture, di sperimentare nuove emozioni. Ginevra Rigotti, 23 anni appena, incarna lo spirito di Ulisse, celebrato da Dante nel ventiseiesimo canto dell’ “Inferno”.
Non è una “globe-trotter” impulsiva e neanche compulsiva. Tantomeno è la turista del “fine settimana”. A differenza di chi si reca in un Paese per pochi giorni e poi presume di conoscerlo; preferisce viverci. Gli piace immergersi nelle società per capirne le tradizioni, lavorarci per afferrarne i costumi; confondersi con la gente e fare amicizie per impararne la lingua e comprenderle al meglio. Vuole arricchire il proprio bagaglio culturale con umiltà, senza presunzioni né arroganza.
– A dir la verità – confessa Ginevra -, tutto è iniziato quando avevo solo 16 anni e frequentavo le Magistrali. Mi fu offerta la possibilità di studiare la quarta superiore in un istituto in Cile, a San Antonio nella regione di Valparaíso. Credo che quell’esperienza mi abbia aperto il mondo.
Ammette che “al principio non fu facile”. Comprensibile. Era ancora poco più di una bambina ed era la prima volta che si recava da sola all’estero, lontano dalla famiglia.
– Mi dissi: “perché no?” – prosegue nel suo racconto -. Non sapevo, non potevo saperlo, cosa avrei trovato. Cerchi sempre qualcosa di nuovo. È come una scala, vuoi andare sempre più in alto.
– I tuoi genitori come la presero?
– Mi hanno sempre appoggiato. D’altronde, mi vedevano entusiasta, felice, convinta. Loro hanno sempre avuto fiducia in me.
– Quindi, non i tipici genitori iperprotettivi.
– No, no – assicura -. Anche loro erano sicuri degli effetti positivi di un’esperienza all’estero. Credo che, non avendo avuto loro la possibilità di viaggiare da giovani, non hanno voluto negarla a me.
– Dal Cile sei tornata in Italia.
– Si, sono tornata e ho finito le Superiori.
– E poi?
– Sono andata negli Stati Uniti. Ho lavorato presso una famiglia come “ragazza alla pari”. Mi prendevo cura dei loro bambini e realizzavo alcuni lavori domestici. In cambio ricevevo vitto, alloggio e un piccolo contributo economico. Feci tutto attraverso un’agenzia perché era necessario il permesso di lavoro. Negli Stati Uniti è considerato un lavoro e, come tale, paghi le tasse. In Italia, e più in generale in Europa, non è così.
Commenta che fare la ragazza “alla pari” offre la possibilità di lavorare, di viaggiare e, “in qualche modo, di sentirsi sostenuta”.
– È una buona alternativa per chi, come me, vuole viaggiare e non ha i soldi. Dopo le scuole superiori non avevo mai lavorato. Fare la “baby-sitter”, perché no? I bambini mi sono sempre piaciuti. Mi son detta: un anno… ed è stata l’esperienza che mi ha cambiato definitivamente.
– Perché?
– Per le persone che ho conosciuto – commenta Ginevra -. Credo che alla fine tutto dipenda da chi conosci.
Ritiene che sia stata fortunata, perché è stata sempre circondata da belle persone; “persone che trasmettevano buone vibrazioni”.
– Avevo 18 anni – prosegue -. Pensai di darmi un anno sabbatico prima dell’Università. Sono partita un 12 agosto.
– Saresti rimasta negli Stati Uniti?
– Non lo so…
– Perché sei tornata?
– Potevo estendere il permesso di soggiorno – ammette -. Sarei potuta restare un altro anno. Perché ho deciso di tornare? Avevo 18 anni e mi mancava molto la famiglia.
Confessa che “tutte queste sono esperienze fantastiche” anche se “all’inizio non è facile”. Ricorda quando in Cile calava la notte e il resto delle amiche dormiva. Nascondeva il volto nel cuscino e piangeva; piangeva in silenzio trattenendo i singhiozzi. Senza conoscere la lingua e senza amiche si sentiva “catapultata in un altro mondo”.
– Andare all’estero, viaggiare – commenta – ti apre la mente. Ti fa capire tante cose. Pensi: “io avrei fatto così, ma anche come fai tu è giusto”. In altre parole, diventi più tollerante, più aperta. Crescere, conoscendo una sola realtà, ti mostra solo un aspetto della vita.
America Latina, Nordamerica, Europa; lingue diverse, culture diverse, società diverse e modi di agire e di pensare ugualmente diversi. Chiediamo a Ginevra quali sono, a suo avviso, le caratteristiche di quei tre mondi nei quali ha vissuto. Dall’espressione del volto, dal suo sguardo capiamo che la domanda la coglie di sorpresa. È per questo che non risponde d’immediato.
– Sono completamente diversi – spiega -. Per esempio, l’educazione dei figli. Ho vissuto in seno ad una famiglia americana. In realtà, americano era il padre perché la madre era pachistana. Erano molto severi. Se il bambino faceva una “marachella”, una anche senza importanza, lo castigavano tenendolo 15 minuti all’angolino con la faccia verso la parete. Io sono stata educata in tutt’altro modo, e non mi reputo maleducata. In Cile, a scuola, c’era un’amica che vendeva il pane. La madre veniva a prenderla prima che finissero le lezioni perché doveva andare a lavorare. In Italia, salti le lezioni perché non vuoi andare a scuola. La mia amica avrebbe voluto andarci, seguire le lezioni come tutte noi, ma non poteva.
Una società consumista
Quella nordamericana è considerata la società del consumo per antonomasia; quella in cui vige la dittatura del denaro. I figli vengono educati per essere competitivi ed essere pronti ad affrontare le sfide che impone la società. Chiediamo a Ginevra un’opinione sulla sua esperienza americana. È veramente come la mostrano Hollywood, i mass-media ed ora anche i socialnetwork?
– Gli americani, a mio avviso – commenta -, sono molto superficiali. Tante macchine con poco cuore. Non si fermano. Non possono perché, alla fine, il denaro è necessario. È quel che conta a fine mese. Sono diversi. Noi diamo più importanza alla vita. Il nostro è un ritmo dettato da altre regole.
– Sei stata in Cile, negli Stati Uniti… e poi?
– E poi la Spagna: Pamplona – sorride – Mi sono diplomata nel luglio del 2019. Sono partita per gli Stati Uniti e tornata il 12 agosto del 2020. In realtà, quando tornai avevo la testa altrove. Non sapevo cosa fare.
Confessa che nel suo gruppo di amici, durante la permanenza all’estero, non c’erano italiani solo “tanti ragazzi e ragazze stranieri”.
– Dopo l’esperienza americana, mi dissi: “sono pronta a tornare in Italia”. Non avevo denaro. Dopo un mese a casa, ho cominciato a cercare nel portale “au-pair world”. Come “ragazza alla pari” ho lavorato a Pamplona. Mi sono presa cura di una bimba di quattro anni. A scuola parlava l’euskera e con me in inglese. Ero stata contrattata per insegnargli la lingua.
Racconta che la tappa vissuta a Pamplona è coincisa con la diffusione della pandemia. Ricorda la città chiusa, sola; una città in cui “nessuno poteva uscire”.
– Anche così – prosegue – ho fatto nuove esperienze. Ho conosciuto altri giovani, di altri paesi, che lavoravano “alla pari” come me. Era bello andare a prendere un caffè con amiche di diversa nazionalità, tedesca, finlandese o dei Paesi Bassi. Era un bel gruppo…
– E da Pamplona…
– Madrid – ci dice senza lasciarci concludere -. A Pamplona avevo realizzato un test per entrare all’Università di Trento, nella Facoltà di Lingue moderne. Il test lo feci online perché, le università, in piena pandemia, si dovettero adattare. Lo superai e mi iscrissi. Pensai che fosse arrivato il momento di mettere la testa a posto. E poiché durante la pandemia non avevo potuto viaggiare, decisi di venire a Madrid prima di tornare in Italia. Avevo un’estate davanti.
Ancora una volta come “ragazza alla pari”. Viveva ad Alarcón e si prendeva cura di un bimbo di 10 anni.
– Mi sono innamorata di Madrid – confessa -. Viverla come “ragazza alla pari”, lavorare otto ore e poi avere la serata libera, non doverti preoccupare delle spese è… diverso. In quel periodo della mia vita mi piaceva tanto cambiare. Non mi spaventa muovermi da una città all’altra. Vivere in Cile, negli Stati Uniti, in Spagna, abituarsi a stare soli, imparare nuove lingue, mangiare cose nuove…
Tornata in Italia, Ginevra ha cominciato a frequentare la Facoltà di Lingue moderne. Ma non per molto, dopo due mesi è tornata di nuovo in Spagna.
– Prima a Madrid, poi a marzo del 2022 a Maiorca, fino a settembre – racconta -. Non avevo ancora tutti i documenti per lavorare. C’è un portale, “workaway.info”, che offre posti da volontari presso famiglie a cambio di vitto e alloggio. Ed è quello che ho fatto a Búrger, un paesetto vicino a Inca al centro di Maiorca. Lì si parla maiorchino, un dialetto che ho imparato. Mi sono presa cura di un bambino di pochi mesi. Un bimbo così piccolo… non l’avevo mai fatto. Una nuova esperienza che mi ha permesso d’avere il tempo per avere tutti i documenti in ordine.
In Vietnam da “mochilera”
Ginevra l’abbiamo conosciuta in una nota pizzeria italiana della capitale. Poche battute sono state sufficienti per sorprenderci con la sua semplicità e per conoscere il suo periplo. Le chiediamo perché, lei che ha sempre viaggiato come “ragazza alla pari”, ha deciso di vivere a Madrid e di impiegarsi come cameriera.
– Forse perché era il lavoro più facile da trovare – ci dice -. Mi sono diplomata in Amministrazione, Finanza e Marketing. Insomma, in contabilità. È una professione che non riflette la mia personalità.
Ci dice che “lavorare da cameriera permette il contatto con la gente”. La prima volta lo ha fatto a Maiorca, prima di trasferirsi a Madrid.
– Pagavano bene – ammette -. Ma si lavorava tantissimo. Maiorca è molto bella. Chi vive vicino al mare ha un altro spirito.
Irrequieta, Ginevra a Madrid ha cominciato a maturare un nuovo progetto: viaggiare con uno zaino sulle spalle. In Spagna direbbero da “mochilera”. Ma dove?
– Avevo letto un libro di Gianluca Gotto, un giovane scrittore italiano – spiega -. Il suo primo libro è stata un’autobiografia. In “Le coordinate della felicità, di sogni, viaggi e pura vita” narra la sua esperienza personale viaggiando in Australia e in Canada con uno zaino e senza soldi. Poi ha scritto “Come una notte in Bali”. Io l’Asia non l’avevo mai presa in considerazione. Quando s’inizia a viaggiare, il sogno è di farlo, almeno una volta, da “mochilero”. Pensavo: “anch’io un giorno lo farò”.
E così è stato. Con la caparbietà che la caratterizza, ha deciso di recarsi in Vietnam. A poco a poco, ha preparato il viaggio, ha risparmiato, acquistato lo zaino e accumulato informazioni sul Pase asiatico. Ha pianificato grosso modo un itinerario: volo di andata per Hanoi, la capitale, volo di ritorno da Ho Chi Minh. In totale una trentina di giorni, dal nord al sud lungo quella striscia di terra bagnata dal Mar Cinese Meridionale.
– Sono partita il 3 marzo e sono tornata a inizio aprile – ci dice mentre gli occhi le brillano al ricordo di un’esperienza “indimenticabile e molto bella” -. Viaggiare sola… Prima di partire avevo prenotato un ostello ad Hanoi. Solo per i primi tre giorni, con l’idea di arrangiarmi come potevo per il resto del viaggio. In Vietnam, la vita non è costosa ed è molto semplice. Tre notti in un ostello mi sono costate solo 6 euro.
Girovagare senza un programma
Svegliarsi senza un programma, lasciarsi guidare dalla curiosità e godersi la sensazione di libertà. Ginevra ci dice che in Vietnam, al mattino, si alzava senza sapere cosa avrebbe fatto nel corso della giornata. Si sedeva ad un caffè, leggeva, osservava il viavai di persone.
– In occasioni mi sono appoggiata sui tour – commenta -. Non mi piace pianificare, preferisco improvvisare. L’ambiente degli ostelli è molto giovanile, molto bello. C’è sempre chi organizza attività. Puoi incontrare persone che sono in viaggio da tre o quattro mesi. Possono farlo perché lavorano da remoto. Alcuni amici mi consigliarono di recarmi in Tailandia, a Singapore, in Malesia. Non potevo. Non avevo il denaro e poi avevo già prenotato il volo di ritorno.
Ricorda divertita che il primo “tour fu in moto”, in una delle regioni più povere del nord.
– Si dormiva presso famiglie che mettevano a disposizione le loro case. La loro bontà era unica. Ci aprivano le loro case, ci accoglievano, ci offrivano un letto per dormire, ci facevano provare la loro cucina… non lo so… credo che il viaggio in Vietnam, sola… da “mochilera” mi abbia regalato un po’ di equilibrio e di pace interna. Crediamo che tante cose ci siano dovute. Ma non è così. In Vietnam ho visto bambini camminare chilometri quasi scalzi, per andare a scuola. È quando pensi che forse faremmo bene a lamentarci di meno.
Di notte in autobus
Da Hanoi a Ho Chi Min. Un lungo viaggio attraverso un paese povero e con una cultura tanto diversa dalla nostra. Giornate piene di emozioni, esperienze nuove.
– Come viaggiavi?
– In autobus, soprattutto di notte per approfittare meglio le giornate. In Vietnam ho fatto uno dei viaggi più lunghi in autobus: 20 ore. Mi trovavo nel centro del paese, non ero riuscita a vedere tutto quanto avrei voluto ma avevo il volo di ritorno. Volevo trascorrere le ultime due notti a Ho Chi Min.
Confessa che il viaggio in Asia gli ha permesso di “staccare”, di fare nuove amicizie e, soprattutto, di stare sola con sé stessa.
– Cosa ti piace conoscere delle città dove ti rechi?
– La vita semplice della gente. Esci dall’ostello senza piani e ti lasci andare. Vai ad un caffè, ti siedi ai tavolinetti e semplicemente osservi…
E in futuro?
La nostra conversazione, come il suo viaggio in Vietnam, volge a termine. Ci dispiace, perché abbiamo ancora tanto da chiedere e, siamo sicuri, Ginevra ancora tanto da raccontare. Ci limitiamo a domandare:
– Come ti vedi nel futuro?
La risposta, spontanea, arriva immediatamente.
– Non mi vedo…
Sorride, indugia, e poi prosegue:
– Il mio sogno, per il momento… forse è un sogno irrealizzabile….
Ci pensa. Poi lo dice quasi stesse condividendo un segreto nascosto.
– È vivere in una Van camperizzata. Mi piacerebbe avere un lavoro da remoto, viaggiare, conoscere. Non sono una ragazza “tecnologica”. Il computer non mi è mai piaciuto. Mi rendo conto, però, che un lavoro da remoto mi darebbe la possibilità di viaggiare. Voglio essere libera di spostarmi.
– Quindi, non ti vedi con una famiglia…
– Ma sì, perché no? La famiglia sì, dove non saprei. E poi devo trovare il ragazzo adatto. Viaggiando mi sono resa conto di essere molto selettiva. Voglio attorno a me persone con la mia stesa energia. Mi piace la compagnia ma so stare molto bene anche sola. Lo so, noi esseri umani abbiamo bisogno del branco… però…
– Nostalgia dell’Italia?
– Non direi. Nostalgia degli Stati Uniti? Si. Nostalgia del Cile? Si. Ma dell’Italia… no.
– Il prossimo viaggio? Cosa vorresti visitare prossimamente?
– Ci sono tante cose da vedere – ci dice per concludere -. Per esempio, i paesi del nord Europa. Ho un’amica finlandese; un’altra, olandese. Mi piacerebbe viver un tempo al nord. Due o tre giorni non sono sufficienti per conoscere un Paese. Devi viverci. Dovessi decidere di andare in nord Europa mi piacerebbe restarvi qualche mese, magari facendo volontariato.
Articolo in collaborazione con la testata La Voce d’Italia.
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