Che cos’hanno in comune le città di Verona, Gijón e, per chi conosce Madrid, la somma dei quartieri di Chamartín e Chamberí? Hanno lo stesso numero di abitanti: circa 270/275.000 persone. Esattamente la stessa quantità di italiani regolarmente residenti in Spagna. Immaginate l’intera città di Verona, o Catania, che di colpo si svuota e riappare in Spagna. Oppure pensate a una città delle dimensioni di Gijón, o Vigo, popolata esclusivamente da italiani.
In base ai dati INE (l’ISTAT spagnolo) del 1 luglio 2020, gli italiani residenti (empadronados) in Spagna, sono 274.463, una cifra che fa di noi il quinto maggior gruppo dopo marocchini, rumeni, britannici e colombiani. I numeri crescono se guardiamo a coloro in possesso di certificado de registro o tarjeta de residencia, cioè di numero NIE: in questo caso siamo 340.745 (una città come Bari o Firenze), ovvero il quarto maggior gruppo dopo rumeni, marocchini e britannici. Parliamo di un flusso in costante crescita, che nemmeno il Covid ha fermato: nel solo primo semestre del 2020, il numero degli italiani empadronados è cresciuto di quasi 7.000 unità, un incremento del 2,5%.
Sono cifre di grande rilevanza demografica e politica, che non devono e non possono lasciarci indifferenti.
Quello migratorio, si dice spesso, è un fenomeno complesso che va regolato. È come un torrente in piena che scorre disordinato dopo una pioggia torrenziale, che bisogna incanalare bene per evitare che straripi e danneggi i campi a valle. È un processo connesso con ogni fase di globalizzazione della storia. Noi italiani, il famoso popolo di “santi, poeti e navigatori”, siamo emigrati in ogni parte del mondo. Abbiamo portato, e continuiamo a portare, il nostro stile di vita in tutti i Continenti.
Eppure, quando parliamo di immigrazione, cadiamo spesso nella scorciatoia egoista di pensare all’immigrato come “l’altro”: più povero di noi, proveniente da luoghi lontani, una cultura e una religione differente dalla nostra, dimenticando quelli di noi che sono immigrati in altri paesi. E come tali vengono ancora, spesso, visti: come immigrati, come persone di serie B. Succede spesso anche a noi, italiani in Spagna.
Ma perchè noi italiani in Spagna, dove in genere ci integriamo molto più velocemente che in altri contesti, percepiamo ancora un senso di inclusione parziale e limitata rispetto allo spazio pubblico del paese in cui viviamo? Perchè, malgrado la comune appartenenza all’Unione Europea, non riusciamo ancora a colmare quella differenza che ci separa fra una condizione di stranieri e una di cittadini a pieno titolo?
La risposta è semplice: perchè riguarda il tema della nazionalità, ovvero, in un sistema democratico, di chi ha diritto al voto. Di chi può scegliere, attraverso la libera competizione elettorale, i propri rappresentanti politici; ma anche di può candidarsi a una carica politica. È da tempo che i partiti socialisti e democratici europei chiedono di procedere verso una reale “europeizzazione” dei diritti delle persone e, non da ultimo, della cittadinanza.
La cittadinanza dell’Unione Europea è un principio regolato sin dai tempi del Trattato di Maastricht (1992). Come sappiamo, ci dà il diritto alla libertà di circolazione e di soggiorno dentro la UE, al voto attivo e passivo per il comune (estero) di residenza e il Parlamento Europeo, nonché alla tutela diplomatica e consolare in quei paesi extra-UE in cui il nostro stato non ha rappresentanza. Ottime cose, ma ormai ampiamente insufficienti.
In attesa di una vera e propria nazionalità europea (arriverà mai?), uno strumento più realistico sono gli accordi bilaterali. È proprio in questa direzione che va il recente vertice di Montauban fra Emmanuel Macron e Pedro Sánchez, il cui risultato più importante è stato la firma dell’accordo per permettere la doppia cittadinanza tra Francia e Spagna. Un fatto epocale dal momento che, fino ad ora, la Spagna non concede il doppio passaporto a nessun altro paese europeo, eccetto il Portogallo.
Le relazioni franco-spagnole sono tradizionalmente molto strette e l’accordo di Montauban si fonda su quattro aspetti di non poco conto:
- l’ntercambio economico: Parigi è il principale partner commerciale di Madrid;
- la Francia è il secondo paese al mondo, dopo l’Argentina, con il maggior numero di spagnoli residenti all’estero: 279.988 (INE, 2021);
- la volontà di Macron e Sánchez di rafforzare la propria sintonia personale e politica, soprattutto in un momento di evidente stanchezza della leadership tedesca;
- il simbolismo del luogo scelto per l’incontro, la tomba di Manuel Azaña, ultimo Presidente della seconda Repubblica spagnola: repubblicano e antifascista, una duplice connotazione che piace sia a Macron e Sánchez che a Podemos.
Perchè questo non può succedere anche con l’Italia? Le relazioni italo-spagnole si sono sviluppate, storicamente, in un piano secondario. Ma non per questo sono meno importanti, soprattutto negli anni più recenti. Anche in questo caso, vi sono quattro aspetti da sottolineare:
- l’intercambio economico: l’Italia è il terzo partner commerciale della Spagna, mentre la Spagna è il 6° destino dell’export italiano; la nostra presenza nell’economia spagnola è in aumento, ad esempio nel settore dei media;
- il numero di Italiani residenti in Spagna è più del doppio a quello dei francesi: una grande opportunità elettorale;
- la grande diplomazia passa anche per la promozione di temi che riguardano una concezione più ampia dello spazio pubblico: se la Spagna è effettivamente interessata alla creazione di un “asse mediterraneo” nella UE con Francia e Italia, allora il tema dell’inclusione politica e dell’estensione dei diritti (e doveri) politici agli immigrati, i cittadini europei in primis, deve entrare nell’agenda delle relazioni bilaterali – non solo fra Madrid e Parigi, ma anche fra Madrid e Roma;
- il giusto principio della reciprocità: chi nasce in Italia e uno dei due genitori è spagnolo, acquisisce la doppia cittadinanza; chi invece nasce in Spagna e uno dei due genitori è italiano, acquisce la doppia cittadinanza ma fino ai 18 anni, dopo di che deve scegliere e rinunciare all’una o all’altra.
Noi italiani in Spagna “viviamo” il paese in tutte le sue dimensioni. Paghiamo le tasse e contribuiamo alla Seguridad Social come qualsiasi cittadino spagnolo. Come tutti quelli che hanno già la doppia cittadinanza. Perchè non possiamo partecipare pienamante alla vita politica del paese in cui siamo residenti? Perchè, per farlo, dobbiamo rinunciare alla nostra nazionalità italiana e diventare spagnoli? Riteniamo che sia giusto scegliere di poter essere entrambi. Reclamiamo la reciprocità.
Siamo consapevoli che sia il governo italiano che la nostra rappresentanza diplomatica, qui a Madrid, stanno muovendosi per porre il tema sul tavolo. Ma siamo altrettanto consapevoli che i governi spagnoli hanno adottato, finora, una posizione molto attendista su questo argomento.
Ci aspettiamo che il governo di Pedro Sánchez sia riformista ed europeista non solo nelle parole, ma anche e soprattutto nei fatti.
I tempi sono maturi per un accordo sulla doppia cittadinanza fra Italia e Spagna.
Michele Testoni (Segretario del Circolo PD “Sandro Pertini” di Madrid)
Pietro Mariani (Presidente del Comites di Madrid)
Fonte:La Voce d’Italia